La Maratona dell’uomo

L'uomo nasce maratoneta, un interessante review di come l'essere umano sia nato per correre a piedi

Forza, velocità, resistenza e coordinazione sono alcune delle caratteristiche fisiche di base che ogni essere vivente ha dovuto sviluppare, con diversi risultati, per poter sopravvivere sulla terra. La velocità del ghepardo, ad esempio, ha permesso allo stesso di poter cacciare raggiungendo velocità ben al di sopra delle proprie vittime. Uno sforzo evolutivo, quello di arrivare a toccare, come ricordato dal giornale Focus, i 93km/h, che lo ha ripagato con la sopravvivenza sino ad oggi. Viene naturale chiedersi come mai non tutti gli esseri viventi abbiano scelto questa via evolutiva. La risposta è semplicemente riconducibile al concetto di "economia energetica": un ghepardo brucia una quantità enorme di energia per raggiungere questi picchi e, di conseguenza, può farlo solo per brevi tratti. Non si può sfuggire all’equilibrio ed in ogni specie possiamo trovare animali che hanno scelto strade tra loro differenti. Spesso, ragionando sulle “strade” evolutive possibili che avrebbe potuto intraprendere l’uomo, viene da pensare che l’essere vivente in cima alla catena alimentare terrestre abbia raggiunto il suo status grazie alla sola “forza” intellettiva che ha permesso all’essere umano, attraverso ere tecnologiche ed industriali, di “trascurare” la propria parte fisica “animale”. Non esiste pensiero più lontano dalla realtà: anche l’uomo, infatti, può vantare un primato fisico di tutto rispetto, considerato la chiave di volta dagli antropologi: la resistenza fisica. La capacità di poter camminare per ore, ha permesso l’incontro delle specie ritenute genitrici dell’homo sapiens sapiens, l’una proveniente dall’Africa e l’altra dal Nord Europa, con la conseguente colonizzazione della quasi totalità del nostro globo. Al giorno d’oggi, tuttavia, eccezion fatta per lo sport, con particolare riferimento all'atletica leggera, o per meglio dire alla maratona, è difficile apprezzare questa “dote” evolutiva. Per la maratona invece, come detto, il discorso è completamente diverso e basterebbe solo soffermarsi su alcuni dati inerenti a questa disciplina per rimanere esterrefatti: una corsa “leggera”, ininterrotta lungo un percorso di oltre 42 km, completata in media in 3 ore, che vanta un record mondiale di percorrenza di 2 ore ed 1 minuto come ricordato da La Gazzetta dello Sport, siglato nel 2018 dal keniano Kipchoge alla maratona di Berlino. Uno sport olimpico che sembra cucito al nostro genoma.

 

Dentro il maratoneta

Non basta appartenere al genere umano per essere in grado di compiere determinate prestazioni. Dietro ogni sportivo c’è sempre una storia fatta di sacrifici, sudore e tanta solitudine, ma in questa disciplina non sempre basta. Per un maratoneta “vero”, ossia un atleta puro che ha praticato da sempre questa disciplina, è fondamentale sia la resistenza allo sforzo che la capacità di recupero dallo stesso, sia durante che dopo la corsa. Per comprendere questo meccanismo è necessario un breve cenno di fisiologia: esistono tre tipi di fibre muscolari, le bianche, le intermedie e le rosse. Le prime sono fondamentali per scatti e sforzi submassimali improvvisi e sono anaerobiche, le altre due invece sono aerobiche e sono importanti per la postura e per i movimenti di base a bassa intensità ma elevata resistenza. Queste ultime sono le principali responsabili delle grandi prestazioni. Un atleta olimpionico può vantare una percentuale di fibre rosse che può raggiungere l’85%: ciò comporta una eccezionale resistenza alla fatica ed una produzione quasi nulla di acido lattico, il principale nemico del recupero muscolare. A completare il quadro, secondo uno studio pubblicato sull’International Journal of Design & Nature and Ecodynamics dal Professor Edward Jones della Howard University, assieme a Adrian Bejan e Jordan Charles della Duke University, ci sarebbero le cosiddette “caratteristiche antropometriche di specie”. È infatti emerso che a parità di altezza, gli uomini di colore, in media, hanno gli arti inferiori più lunghi di 3 cm. Ciò garantisce loro un passo più lungo durante la corsa, con conseguente diminuzione del lavoro muscolare finale. Questi atleti, per i motivi sopra esposti, sono geneticamente avvantaggiati nell'esercizio della corsa ma, come noto, la sola fisiologia non basta comunque a spiegare questa peculiarità, soprattutto perché anche i caucasici possono raggiungere queste caratteristiche muscolari e dominare in altri sport di resistenza come, ad esempio, il ciclismo. Caratteristiche fisiche completamente differenti rispetto a quelle necessarie per primeggiare nella maratona o nel ciclismo sono invece richieste nel basket, sport pressoché dominato da atleti afroamericani e che, soprattutto nella NBA, negli ultimi anni sta vedendo sempre di più l'affermarsi di atleti dotati di mezzi fisici fuori dall'ordinario: uno dei principali protagonisti dal punto di vista fisico è sicuramente Giannis Antetokounmpo, ragazzone greco di origini nigeriane, alto 210 centimetri e con "apertura delle braccia" di 221 centimetri che sta impressionando il mondo con i suoi Milwaukee Bucks: non è un caso, pertanto, che al 30 di gennaio, i Bucks, a quota 4,30, secondo le scommesse sportive, insieme ai Boston Celtics ed ai Toronto Raptors, siano tra i favoriti assoluti per la vittoria della Eastern Conference. Rimane il fatto che, in qualsiasi sport ed in qualsiasi disciplina, conoscere i propri limiti e, soprattutto, i propri punti di forza, è di sicuro il primo passo per diventare un atleta.

 

Essere un atleta

La genetica aiuta lo sportivo, non vi è dubbio, ma sarebbe riduttivo ricondurre tutto ad essa. La storia ci insegna come tutti gli atleti possano con impegno, allenamento e dedizione, raggiungere egualmente traguardi sportivi da primato. Basta citare il nostro Stefano Baldini che, come raccontato anche da La Repubblica, nel 2004 riuscì a trionfare nella maratona olimpica di Atene, avendo la meglio di campioni africani, oppure il norvegese Sondre Nordstad Moen, il primo “bianco” a scendere sotto le 2 ore e 6 minuti, record ottenuto a Fukuoka, in Giappone. Sorge quindi spontanea la domanda: conta di più la genetica o l’allenamento? La risposta è, a nostro avviso, l’allenamento, inteso nel senso più puro nel termine: non come mera riproduzione meccanica di un determinato movimento, ma come immedesimazione consapevole e cosciente in quel determinato movimento. Allenamento inteso come capacità di predisporsi ad una sofferenza fisica tale da superare i propri limiti, siano essi fisici, tecnici o mentali. Tornando alla maratona, per diventare degli atleti di buon livello non basta “inghiottire” 50 km di corsa a settimana ed essere predisposti geneticamente. Per comprendere questo concetto basta osservare una maratona per notare subito come i diversi atleti abbiano imparato a sfruttare le proprie caratteristiche: ognuno ha la propria strategia di gara basata solo ed esclusivamente sulle proprie capacità fisiche.

Nella maratona, così come nella vita, chi raggiunge il traguardo, alla fine, non è chi è geneticamente migliore perché la natura da sola non è sufficiente. Un “aiutino” di certo non guasta, questo è ovvio, ma chi giunge al traguardo è un uomo che si è allenato senza tregua e che ha studiato ed imparato a conoscere a fondo sè stesso per trovare il migliore equilibrio tra mente e corpo. Un atleta non teme i limiti ma, anzi, vede in essi lo stimolo per migliorarsi quotidianamente sotto il punto di vista fisico e mentale perché, citando Michael Jordan, "spesso i limiti, così come le paure, sono soltanto un’illusione”.



05/02/2019