Angelo Pessina
Oman Desert Marathon: Angelo Pessina 13mo e terzo italiano. L'intervista: “Solo sabbia, la più dura di tutte”
Tredicesimo assoluto, terzo italiano in 20h50’35”. È il piazzamento ottenuto dal bergamasco Angelo Pessina, volato nella penisola arabica per la Oman Desert Marathon. 165 chilometri in completa autosufficienza divisi in sei tappe. Una gara massacrante, a detta di chi le ha provate entrambe “più dura anche della Marathon des Sables”. Poco più di un centinaio gli atleti ammessi, provenienti da tutto il mondo: amatori amanti delle sfide estreme e top runner in testa classifiche internazionali di ultra trail.
Classe ‘62, tesserato per i Runners Bergamo, in prima linea sul fronte organizzativo in ogni evento RB (Mezza sul Brembo, Diecimila, City Trail…), nel deserto dell’Oman (per quanto riguarda gli italiani) solo Nicola Bassi e Marco Spina lo hanno preceduto. Alle sue spalle, un certo Marco Olmo. Un risultato che non è arrivato per caso. Sono stati necessari oltre cinque mesi di preparazione puntigliosa: «Se sbagli un dettaglio mandi all’aria tutto».
A dare fiducia ad Angelo Pessina – le spese che comporta la partecipazione a un simile evento non sono indifferenti – gli sponsor Ridea di Olivo Foglieni (Ciserano), Map di Antonello Sciola (Osio Sotto) e Agliati Implantologia dei fratelli Agliati (Ambivere): «Li devo ringraziare infinitamente». Nei mesi di avvicinamento l’atleta è stato seguito dal dottor Nicola Valerio, nutrizionista sportivo e medico chirurgo all’Humanitas Gavazzeni. «Preziosissimo il suo supporto», dice il finisher dell’ultra-marathon araba. Preparatore atletico l’amico Franco Zanotti, già protagonista di altre corse nel deserto: «Mi ha fornito suggerimenti e segreti fino al giorno della partenza, senza di lui non ce l’avrei fatta».
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Le sabbie omanite sono zeppe di insidie, soprattutto per chi non le conosce. Il deserto raggiunge i 40 gradi durante la giornata, mentre le notti sono umide e la temperatura si attesta sui 20 gradi. Pessina ha portato con sé uno zaino tecnico dal peso complessivo di 7,20 kg (più 1,5 kg di acqua). Conteneva il sacco a pelo, cibo, abbigliamento, materiale obbligatorio, pentolino per la bollitura, un piccolo carica batteria per il “Garmin” e la pila frontale, kit di automedicazione. Quanto basta per sopravvivere mentre si corre in solitaria sotto il sole cocente. «Il mio nutrizionista è stato bravissimo. Ha preparato l’occorrente specifico per ogni fase della giornata». Gli italiani in lotta per una buona posizione nella generale hanno fanno squadra appena si sono profilate le gerarchie: Nicola Bassi, Andrea Spina, Marco Olmo e Angelo Pessina hanno portano avanti i colori nazionali. Per la vittoria invece i più forti del mondo si sono dovuti scontrare con gli atleti marocchini molto abili nel deserto.
21 km, 25 km, 28 km, 29 km, 42 km e 20 km la lunghezza delle singole tappe. I primi due giorni la sabbia è rossa e piuttosto compatta, il percorso è un continuo up&down. «Ci siamo acclimatati e abbiamo iniziato ad adattarci al deserto. Abbiamo incontrato tutti gli animali che sopravvivono in questo ambiente, imparando che se non vengono toccati e disturbati non infastidiscono l’uomo. Ci hanno detto di stare attenti, piuttosto, al cammello. Perché se colto di sorpresa alle spalle scalcia spaventato. Ogni tanto passava qualche beduino, tutti ci guardavano con benevolenza: sapevano che eravamo corridori della Desert Marathon».
Il terzo e quarto giorno ci si addentra nel cuore dell’arida distesa. La vegetazione sparisce, deserto e cielo si dilatano all’orizzonte. Il caldo è soffocante. La sabbia cambia sembianze: si schiarisce e appare meno compatta. Ci si concentra sul terreno da calpestare e sulle bandierine poste in lontananza. La fatica raddoppia. Qualcuno infatti dà segni di cedimento. Gli organizzatori fanno il possibile per aiutare gli atleti, ma qualche ritiro è inevitabile. Pessina prosegue, il fisico risponde e la mente è determinata. Si ritrova a correre nella top 15 e si coalizza con gli altri italiani vicini a lui in classifica. Il più è fatto? Forse. Perché arrivano le prove più dure. La sabbia è soffice: «Come farina, si sprofonda». E si infila dappertutto, non c’è protezione che tenga. «Una fatica immensa».
La tappa numero cinque è la più temuta, nonostante il corribile e il terreno compatto. La più lunga: una maratona in notturna di 42 km sulla pista carrabile che taglia il deserto. Ai top 20 è riservata una partenza separata dagli altri concorrenti. «È stato come correre una maratona sulla neve morbida. Silenzio assoluto, oscurità, illuminati dal nostro frontalino, i fari delle jeep e le luci a led». Pessina l’ha terminata in 15ª posizione, con il tempo di 5h37’.
L’ultima tappa porta al mare, alle spiagge del Mar Arabico. Il pensiero della conclusione e della distesa d’acqua allevia lo stress, eppure gli ultimi 20 km non perdonano. «Siamo partiti la mattina presto, abbiamo percorso un tratto della pista calpestata la notte precedente. Poi abbiamo incontrato le vere dune. Colline di sabbia finissima, da scalare aggrappati con mani e piedi e da ridiscendere con leggerezza per non sprofondare. Dall’alto delle creste sabbiose vedi il mare che tocca il deserto. Mi veniva voglia di fermarmi per contemplare lo scenario. Comprendi l’essenza profonda del deserto dell’Oman, il silenzio, i colori, il mare vicino. Però mi sono ritrovato a competere per un buon piazzamento finale e per la ‘squadra italiana’ e non ho potuto godere appieno di ciò che l’ambiente offriva. Mi sono lasciato prendere dallo spirito della competizione, ed è stato giusto così».
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Gli atleti sono isolati dal mondo. Vengono stampate le e-mail spedite dai parenti e al termine di ogni tappa si consegnano ai concorrenti. «Sentivamo il calore della nostra famiglia che alleviava la solitudine. Non circolavano informazioni. Un runner americano alla fine della settimana ci ha raccontato dell’elezione di Trump, lo abbiamo saputo così, un po’ per caso». Le tende aperte sotto le quali dormire accolgono 10 persone ciascuna. A terra viene posto uno strato di moquette, sul quale si posa il sacco a pelo. «Non si trovano cambi, si usa ciò che abbiamo messo nello zaino. Per riposare (perché dormire davvero è difficile) indossavo una maglietta a maniche lunghe Mico (quella inserita nel pacco gara della Mezza sul Brembo) e dei calzoncini X-Bionic».
Si stringono legami solidi. «Sono stato fortunato perché i miei compagni di tenda, connazionali e stranieri, vedendomi in una buona posizione nella classifica, mi hanno sostenuto in ogni modo». Si è creata una grande amicizia con il bergamasco di Ponte San Pietro Dario Consoli, «colui che più mi ha aiutato. A riposo sotto una tenda nell’immensità del deserto, con la tensione di una gara, avere una persona con cui dialogare è importante». L’amicizia è fatta anche di gesti. «L’ultimo giorno sono rimasto senza integratori salini per l’acqua. Lui ha visto e ha estratto dalla tasca del suo zaino due integratori, porgendomeli. Non preoccuparti, mi ha rassicurato, adesso sono tuoi».
A impresa conclusa, Pessina riflette sulle parole del suo amico e preparatore. «Franco Zanotti me lo aveva detto, prima che partissi: sarà una gara durissima ma fattibile, una di quelle che lasciano la cicatrice nel cuore per tutta la vita». Aveva ragione.
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23/11/2016
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